Di Sabato, Dall’isolamento riscopriamo l’importanza della nostra visibilità fisica
Per l’attivista e insegnante romano la scuola oggi paga i tagli e le riforme del recente passato, ma nella distanza docenti e studenti si stanno ritrovando
Con Altrestorie abbiamo deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.
Dal suo isolamento domestico ci ha risposto Geatano di Sabato. Napoletano a Roma, insegnante di lingue in un liceo scientifico e attivista Lgbtqi, Gaetano ha fondato alcuni anni fa l’associazione I Mondi Diversi con cui ha organizzato diverse iniziative culturali e politiche e che dal 2014 fa parte del Coordinamento Roma Pride.
Vorrei cominciare dal tuo lavoro di insegnante in una scuola superiore. Le scuole sono state tra le prime ad essere chiuse allo scoppiare dell’emergenze e probabilmente non riapriranno prima del prossimo settembre. Come sta andando nella tua esperienza, con la didattica a distanza? Cosa pensi dei provvedimenti presi sulla scuola?
La mia è un’esperienza estremamente positiva. Insegno in un liceo statale che già da alcuni anni ha esplorato percorsi di innovazione. Eravamo quindi già “attrezzati” del necessario e questo ci ha permesso di passare dalla didattica in presenza a quella a distanza senza soluzione di continuità. Nel pomeriggio del 4 marzo arrivò la notizia della chiusura e già il 6 mattina eravamo online con un orario delle lezioni adattato.
La cosa forse inaspettata ma davvero straordinaria è stata la risposta della comunità scolastica. L’impegno e la generosità dei docenti, il livello di partecipazione degli studenti, le espressioni spontanee di stima e di gratitudine da parte delle famiglie stanno ridando centralità al valore umano della scuola, come luogo ideale di relazioni che conferiscono profondità all’azione educativa e formativa. Credo che nel distanziamento forzato, docenti e studenti si stiano “riscoprendo”, riavvicinando e rivalutando reciprocamente come non accadeva da tempo.
Purtroppo so di tante altre realtà che devono invece affrontare le sperequazioni nel tessuto sociale e l’insufficienza delle risorse. La scuola, come la sanità pubblica, negli ultimi vent’anni ha sofferto tagli e riforme incomprensibili e la pandemia ha reso ancora più evidenti gli effetti di tanti errori.
Con tutta la buona volontà, correre ai ripari adesso non è semplice e lo testimonia proprio il clima di incertezza intorno al “destino” della scuola nei prossimi mesi. Al di là dei fondi, comunque insufficienti, messi in campo finora, le questioni legate all’edilizia scolastica, alle risorse umane, alla formazione, all’organizzazione sono di enorme complessità ed è urgente che si diano risposte attraverso un piano serio per la scuola pubblica che verrà.
Gaetano Di Sabato, 44 anni napoletano, vive e lavora a Roma dal 2004. Insegna Lingua e cultura inglese in un liceo scientifico statale. Alcuni anni fa ha fondato l’associazione di promozione sociale I Mondi Diversi che dal 2014 fa parte del Coordinamento Roma Pride.
Single “per scelta dopo un passato ricco di relazioni, avventure e una lunga convivenza” vive solo.
Per il resto invece come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiate oltre al lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?
Nel corso della vita, un po’ per indole un po’ per formazione, ho anche ricercato e coltivato momenti di solitudine. Questo mi ha avvantaggiato nell’affrontare il periodo che stiamo attraversando, nel senso che grazie al lavoro a distanza, alle passioni personali come i libri e il cinema, che posso comunque assecondare, e a una certa consuetudine a rimanere con me stesso, riesco a “reggere” abbastanza bene.
Il problema è che in questo caso l’isolamento non è una scelta e per uno come me, libertario, insofferente agli schemi, che ha nell’autodeterminazione il suo valore guida, la costrizione non è facile da sopportare. Cerco di viverla come un esercizio del mio senso di responsabilità civile.
Quel che mi mette più alla prova è proprio la questione delle relazioni. Non sono mai stato bravo a coltivarle a distanza, nemmeno quando l’unico strumento era il telefono. L’impossibilità di essere fisicamente vicino alle persone è un grosso ostacolo. Confesso di sentire come se stessi trascurando alcuni rapporti e questo è per me motivo di sofferenza.
Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione Lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?
Al di là del progressivo allentamento delle restrizioni, la vera sfida sarà superare i timori che stiamo interiorizzando. Il distanziamento sociale non è soltanto una precauzione fisica. Impatta globalmente sul modo di essere con gli altri; implica reprimere gesti naturali che fanno parte del “linguaggio” complessivo con cui ci relazioniamo. Il distanziamento fisico può facilmente diventare emotivo oppure tradursi in frustrazione, e questo rischia di rendere tutto più difficile. In più questa nuova situazione si innesta su una triste tendenza degli ultimi anni per cui molte persone dividono la propria socialità tra il reale e il virtuale, privilegiando spesso quest’ultimo.
Io appartengo a una generazione che ha assistito all’esplosione della favolosa vivacità con cui la collettività Lgbtqi, ha portato fuori dall’ombra i suoi spazi di aggregazione, facendo intrattenimento e cultura in modo anche funzionale alla lotta politica. È però innegabile che, per tanti motivi, la capacità attrattiva e la popolarità di alcune di queste forme di aggregazione ultimamente si sono ridotte.
Per provare a trasformare il disagio in opportunità, spero che l’isolamento che di quegli spazi ci ha privato del tutto ci faccia presto ritrovare lo spirito con cui originariamente li abbiamo fortemente voluti e caparbiamente creati.
Tu sei anche molto legato al Pride e al Roma Pride in particolare. Questo rischia di essere il primo anno senza Pride a Roma e nel resto d’Italia da oltre 25 anni. Che ne pensi?
L’assenza dei Pride è una ferita. Non ci sono molte altre parole per dirlo. Ogni anno nei Pride quello spirito a cui accennavo prima si riaccende. Si tratta forse dell’unica manifestazione di piazza che è ancora capace di dare espressione e corpo, anzi “corpi”, a principi che mai come in questi anni vanno strenuamente difesi. Perché si protendono verso un mondo possibile in cui discriminazioni e disparità siano solo un ricordo. In un momento che ci chiama a immaginare un futuro diverso, i Pride sarebbero di estrema importanza. Mi auguro che troviamo un modo alternativo di esserci, con la promessa di tornare in piazza alla grande non appena possibile.
Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?
Tra le altre cose, la pandemia ha svelato e amplificato tutte le contraddizioni del nostro modello di civiltà. Ha congelato i consumi che ne erano la benzina e ha rallentato la produzione che ne è il motore. Ma soprattutto ha reso chiara l’insostenibilità di un sistema nel quale il mercato finanziario è essenzialmente speculativo e vive in una bolla quasi del tutto indipendente dall’economia reale, mentre un liberismo esasperato e sacralizzato marginalizza il ruolo dell’autorità politica, che arretra e subordina il benessere delle persone all’esigenza di conservazione del sistema stesso.
A pensarci, è un po’ come in una deriva totalitaria, in cui le persone esistono per preservare il sistema e non viceversa. E serve a poco che in qualche modo i diritti individuali continuino a essere riconosciuti se vengono a mancare condizioni sociali che consentano di esercitarli davvero. È questa consapevolezza la lezione che dobbiamo apprendere dall’emergenza attuale. Sprecare energie a immaginare utopie prossime venture o strapparsi le vesti anticipando catastrofi è inutile. In genere le costruzioni ideali o ideologiche, per quanto grandi e ambiziose siano, falliscono se non tengono conto della natura propria degli esseri umani, in genere infelici a essere persone se non possono essere anche individui.
Una cosa è certa. Il mondo che sarà avrà luci ed ombre, perché è in noi che ci sono luci ed ombre. Sarebbe bello però se, almeno questa volta, riuscissimo a ricordare gli errori che ci sono stati rivelati e provassimo a correggerli. Se almeno capissimo che mettendo in comune le risorse renderemmo comuni anche gli interessi, potremmo smettere di parlare ipocritamente di una solidarietà che non c’è e potremmo immaginare di nuovo una comunità internazionale realmente capace di porre rimedio ai guasti e alle ingiustizie sociali che ci affliggono globalmente.
Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?
Sinceramente? Ho la triste impressione che si sia diffusa la falsa convinzione che la faccenda dei diritti appartenga al passato e che la liberazione sessuale consista nella possibilità di fare sesso come e quando ci pare, il che in effetti come possibilità esiste… Basta che non se ne parli troppo…
Battute a parte, alcune scelte e alcuni eventi ci hanno fatto entrare in quella fase, pericolosissima per qualsiasi movimento di liberazione, in cui certe istanze non potendo più essere soppresse vengono “contenute” tramite un processo di assimilazione che, normalizzandole, le neutralizza. Si ha così l’impressione di aver vinto e invece si è solo accettato un compromesso e ci si è adeguati entro un confine che è definito dalla cultura stessa da cui originariamente si cercava di affrancarsi.
Per certi versi, per una fase analoga passò il movimento femminista al volgere degli anni ’80 e adesso la stiamo attraversando noi. Prima ancora di concentrarci sui traguardi da conquistare, nell’immediato la sfida è convincere le persone che traguardi ancora non raggiunti esistono e che c’è bisogno di lottare per arrivarci. E questa sfida si vince in un solo modo: facendo cultura e (ri)animando il confronto politico.
Per come la vedo io, è questo l’orizzonte delle prossime battaglie, altrimenti il resto è perduto. Un’idea potrebbe essere ricominciare a farsi e a fare domande, a mettere in discussione tutto, invece di continuare a fare affermazioni di principio che non scaturiscono dall’elaborazione di dubbi profondi.