Deborah di Cave, in poche settimane abbiamo perso tutte le libertà
Per l’organizzatrice del primo Pride nazionale italiano ci sarà ancora più bisogno di lottare per i diritti e per una giusta distribuzione delle ricchezze
Con Altrestorie abbiamo deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.
Abbiamo raggiunto Deborah di Cave, storica attivista Lgbtqi che nel 1994 da giovanissima presidente del Circolo di Cultura Omoseessuale Mario Mieli ha guidato il primo pride nazionale italiano a Roma.
Il tuo nome è inscindibilmente legato al primo pride nazionale di Roma nel 1994. Dopo 26 anni anche la manifestazione romana, come molte altre in Italia e nel mondo è stata travolta dalla pandemia e ha dovuto annunciare nei giorni scorsi un rinvio a tempo indeterminato. Che sensazione fa? Sarà una stagione senza Pride?
Sai, il primo pensiero, assolutamente egoista, è stato: bene, ero così arrabbiata che la data del Pride romano fosse stata variata e coincidendo con un viaggio già organizzato a Praga sarebbe stata la prima volta che sarei mancata a questo appuntamento romano dal 1994… Un pensiero puerile, tanto più che anche il viaggio ovviamente è saltato, ma segno evidente di quanto per me il Pride sia un evento fondamentale. In particolare quello romano.
Per parlare più in generale dovrei entrare nel merito del mio vissuto molto ambivalente su tutta la questione delle limitazioni connesse alla pandemia. Pur pensando che sicuramente ci siano delle esigenze sanitarie importanti e non essendo assolutamente una complottista, non posso che rammaricarmi e preoccuparmi per un mondo che in poche settimane ha perso praticamente senza fare un fiato tutte le conquiste in termini di libertà che caratterizzano la nostra vita.
Un anno privo di pride mi intristisce e allarma moltissimo, perchè ritengo il valore di questo evento fondamentale per rappresentare la visibilità e i diritti di milioni di persone altrimenti invisibili. E non mi riferisco unicamente a quelle che sfilano, ma soprattutto a tutte quelle che ad un pride non possono partecipare perchè vivono in società dove per la propria identità e orientamento rischiano concretamente la vita e la libertà.
Deborah Di Cave, 52 anni. Romana donna, bisessuale, poliamorosa, madre, assistente sociale… Di sè dice: “Di ogni mia specificità ho fatto militanza attiva e azione di visibilità perchè il mio motto è sempre stato che ‘il personale è politico‘”. Vive a Roma con un compagno e il figlio e ha una fidanzata.
Militante nel Movimento Lgbtqi italiano dalla fine degli anni ‘80. Nel 1994 come Presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli ha contribuito a realizzare il primo Pride nazionale italiano.
Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?
La quarantena sta toccando moltissimo la mia vita personale e professionale.
Come poliamorosa posso vivere con il mio compagno, ma non vedo da oltre un mese la mia ragazza che abita in un altro comune. Da madre vivo la segregazione quotidiana di un figlio 14enne e il disastro della scuola a distanza. Come assistente sociale vivo la fortuna di un lavoro con contratto ancora pagato regolarmente e con forti agevolazioni in termini di smart working, ma totalmente snaturato nella sua funzione di relazione di supporto alle persone più deboli a beneficio di mansioni puramente amministrative per gestire i supporti che vengono elargiti in maniera a dir poco demenziale alla popolazione. Da militante nella comunità poliamorosa, lgbtq e kinky non sto riuscendo a supplire con i mezzi di comunicazione social – in questo sono vecchia – all’assenza di momenti di incontro, progettazione di eventi, ecc.
Quindi che dire, non me la sto vivendo benissimo.
Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. A tuo parere come ha reagito e sta reagendo la comunità Lgbtqi romana?
Francamente non ne ho idea. Come dicevo prima non sono così smart da riuscire a vedere cosa sta accadendo nella comunità Lgbtq attraverso lo sguardo sui social. Credo, però, che la forza della comunità lgbt romana siano da sempre le relazioni amicali che si vengono a creare anche grazie al fatto di rappresentare un punto di approdo per molte persone Lgbtq “fuori sede”. Penso che al momento questo “fare famiglia” fuori casa stia funzionando. Così come il fatto che la le persone Lgbtq, soprattutto giovani, sono in genere molto social e alfabetizzate sul piano informatico. Detto ciò credo che l’assenza di luoghi di incontro e la possibilità di situazioni di omofobia in famiglia siano problemi molto grandi che pagheremo a lungo anche dopo l’emergenza;
Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?
È veramente difficile immaginare lo scenario possibile. Mi chiedo innanzitutto come faranno tante persone a pagare l’affitto di casa e le bollette dopo mesi di stipendi non pagati, in particolare in alcuni comparti come la ristorazione, lo spettacolo, il commercio in generale.
Per il futuro a breve e medio termine non so se essere più preoccupata di un ritorno troppo veloce ad una entusiasta normalità che probabilmente ci farebbe sprofondare subito in un nuovo picco e quindi ad una nuova chiusura, oppure in un estremo tempo di paranoia. Sul lungo periodo sono certa che la tendenza umana a far tornare le cose nella norma avrà la meglio e tra un anno tutto sarà tornato alla normalità, almeno su un piano emotivo.
Come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?
Ecco, questo è l’aspetto che mi preoccupa di più. Non sono una persona ottimista e l’idea che gli eventi tragici della storia migliorino la vita individuale non mi appartiene. Credo che l’impoverimento inevitabile di fasce già fragili della popolazione, una distribuzione ingiusta degli aiuti alle imprese, la profittazione che ne verrà, l’insegnamento ai potenti della Terra che si può costringere in casa la gente per mesi, togliergli libertà, lavoro, dignità senza grandi proteste, se il motivo addotto sembra sufficientemente convincente, siano tutti scenari gravi e molto probabili.
Penso che rimarremo consumisti come prima, solo un pò più poveri e con l’esperienza di una “dittatura” per giusti motivi. Quindi penso che dopo questa vicenda ci sarà ancora più bisogno di lottare per i diritti e per una giusta distribuzione delle ricchezze.
Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?
In Italia e in larga parte del mondo siamo ancora così indietro sul tema dei diritti e della liberazione sessuale che questo stop non può che spingerci a lavorare molto di più quando si potrà tornare ad una normalità. Soprattutto spero che si riprenda la strada delle piazze e delle manifestazioni: i corpi sono oggi, ancora più di prima significativi e significanti e rappresentano la nostra forza propulsiva.