Andrea, la lotta per una società più giusta è come un fiume. Non si può fermare

Andrea, la lotta per una società più giusta è come un fiume. Non si può fermare

Attivista e capotreno è finito in cassaintegrazione, “ma sono fortunato perché ho un introito garantito anche se in una città cara come Milano non è facile”

Con Altrestorie abbiamo deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.

Oggi abbiamo sentito Andrea Manfredi, torinese, attivista di GECO – GEnitori e figli Contro l’Omotransfobia, fondata assieme a mamma Laura e papà Lino, e train manager di Italo, che, a seguito della riduzione fortissima del traffico ferroviario, è stato messo in cassaintegrazione e ha iniziato la sua quarantena a Milano, dove vive da qualche anno assieme a una collega.

Ma grazie alla sua intelligente ironia e al suo aspetto fisico, Andrea è anche molto seguito su instagram, dove ha un profilo da oltre 30.000 fan, e ci ha regalato alcune delle sue foto che potrete ammirare nella gallery in fondo.

Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?

Per me fortunatamente la quarantena è iniziata dal 25 marzo perché, in quanto “TrainManager”, fino a quella data abbiamo avuto treni in circolazione su cui lavorare. Perciò ho circa 2 settimane in meno rispetto agli altri, e su una previsione di due mesi rinchiusi in casa fa un po’ di differenza. Da quella data anch’io non lavoro più e al momento sono uno dei tanti in cassa integrazione. Vista la situazione che c’è fuori mi sento un privilegiato perché per lo meno un minimo introito economico garantito ce l’ho, anche se con il costo della vita e degli affitti a Milano non è facile ritrovarsi di colpo con gran parte dello stipendio in meno.

Andrea Manfredi, 37 anni, nato a Torino, capotreno, vive a Milano con una collega.
Attivo nell’associazione torinese GECO – GEnitroi e figli Contro l’Omotransfobia, fondata assieme a mamma Laura e Papà Lino.

Nel mio piccolo la sto vivendo bene. Faccio un lavoro molto stressante sia fisicamente che mentalmente, sempre a contatto con più di 1000 persone al giorno e un po’ di distacco mi fa ricaricare le pile per tornare più carico di prima. Per mia natura sono un ottimista, in genere cerco sempre di vedere il lato positivo delle cose. Il troppo tempo libero non è un problema: trovo sempre modo di riempirlo con l’adeguato riposo, cibo, un po’ di allenamento casalingo, libri, film e serie tv.

Non mancano le videochiamate con mamma che è rimasta da sola a Torino (papà è mancato circa un anno e mezzo fa). Per la sua salute ho preferito non raggiungerla, anche se questo ci pesa parecchio, soprattutto per due persone molto “fisiche” come me e lei, tra cui non mancano mai baci e forti abbracci.

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

Credo che quel tipo di spazi di aggregazione saranno gli ultimi ad essere riaperti perché non vengono inclusi nelle necessità primarie, anche se svolgono un lavoro fondamentale nel tessuto sociale di una città, un quartiere o una comunità come la nostra.

Penso a chi in casa ha una situazione ostile al proprio orientamento e quei luoghi sono lo svago e lo sfogo dalla repressione che si può vivere tra le quattro mura. Un problema che forse in città come Milano o Torino può essere meno accentuato ma ha la sua rilevanza.

Come ripartire? Nessuno ha la bacchetta magica quindi si andrà a piccoli passi e tentativi, assicurando di mantenere mascherine e basilari norme igieniche anche qualora si dovessero riaprire tali attività. Sarà un’ottima scusa per il mondo Lgbtqi di sfoggiare mascherine all’ultima moda!

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

Non ho alcuna competenza in campo economico ma immagino sarà un disastro dal punto di vista di posti di lavoro persi, di aumento esponenziale della povertà e del divario sociale.

Dovremmo riuscire a fare rete solidale tra noi e costruire a seguito di questa esperienza un’Italia migliore anche se temo succederà l’opposto. Nessuno ha la bacchetta magica per gestire una situazione inedita, ma per fortuna oggi non siamo governati da fasciosovranisti o dal cuore immacolato di Maria, sennò saremmo stati in una situazione ancora più grave.

La speranza è che si lavori bene per evitare di dare a future elezioni esiti ben peggiori. L’esperienza di un virus che ci ha raggiunto viaggiando in business class con un manager lombardo anziché con un barcone dalla Libia ci dovrebbe insegnare che non ci sono muri o barriere che tengano, che siamo tutti uguali tanto nel bene come di fronte alle avversità. E il futuro va affrontato insieme, facendo forza comune, e non trovando un nemico contro cui aizzare il disagio sociale.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Ubi major minor cessat dicevano i latini. In questa situazione la lotta per i diritti civili resterà “sospesa” fino al pieno ritorno alla normalità, per il quale ci vorrà un bel po’ di più dei due mesi di quarantena. Sospesa non significa ferma però. Su internet, tramite siti e social, la “guerriglia” di contrasto a omofobia, violenza domestica, discriminazioni razziali, etc… non si è mai fermata. Anzi. Si continuerà a denunciare.

La lotta per una società più giusta ed equa è come un fiume in piena che anche se gli sbarri la strada trova sempre comunque un modo per arrivare al mare, magari allungando il percorso di qualche chilometro. Per esempio con la quarantena si è posto ancora di più il problema dei femminicidi e delle donne costrette a vivere in casa h24 col loro aguzzino, perciò molti centri antiviolenza si sono adeguati con un maggior supporto telefonico (come con le telefonate “senza parlare”) o con apposite app.

Nell’immediato post virus ci sono già realtà che operano a fornire ospitalità a ragazz* Lgbtqi cacciati di casa che si allargheranno ad ospitare quelli che per strada ci finiranno per aver perso il lavoro e non potranno tornare dalla famiglia. Penso ad esempio nella mia Torino al progetto TOhousing che è nato un anno fa per dare un tetto a chi non ha alternativa (e so che esistono progetti identici anche in diverse altre città d’Italia).

Le persone che hanno sempre lavorato in quel campo continueranno a farlo anche dopo, ed è dovere di chi come me è più fortunato di dare la propria mano sia nella pratica sia nel supporto economico.


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