Mese: Maggio 2020

Muzzetta, il Milano Pride sosterrà la ricostruzione

Muzzetta, il Milano Pride sosterrà la ricostruzione

“Dobbiamo essere creativi e trovare nuove forme di mobilitazione”. Il Milano Pride aderisce al Global Pride lanciato da EPOA, “ma non sarà solo virtuale”

Il nostro viaggio nella comunità Lgbtqi+ ai tempi della pandemia oggi ci fa incontrare Roberto Muzzetta, imprenditore e attivista milanese, da anni una delle anime della commissione organizzatrice del Milano Pride, di cui è anc he stato coordinatore.

Oggi è anche esponente del direttivo di Arcigay Milano e della segreteria nazionale di Arcigay come resposabile delle relazioni internazionali. Ma presta anche cuore e voce al Checcoro, il coro Lgbtqi di Milano. Perché in Roberto l’impegno sociale si coniugano in modo raro con la grande capacità di visione e organizzativa e con un grande amore per l’arte e il bello. Caratteristiche che, come leggerete dalle sue parole, gli consentono di vedere sempre, nelle difficoltà e nei rischi anche i germi della rinascita e del cambiamento positivo.

Milano e la Lombardia sono state tra le zone più colpite dall’epidemia. Come hai vissuto questa esperienza? Come sta evolvendo adesso la situazione? Ci sono state delle particolari responsabilità politiche o altre condizioni che, secondo te, hanno contribuito a rendere la situazione lombarda così tanto più grave rispetto anche ad altre regioni vicine?

Ormai è accertato che alcune località della Lombardia sono state le prime ad essere colpite in Italia – e praticamente in Europa – con una epidemia silenziosa che si è insinuata negli ospedali infettando molte persone fragili e molti operatori sanitari.

Questa “sfortunata”circostanza può in parte spiegare la tragica situazione della mia regione. Tuttavia quello che è avvenuto dopo – gli oltre 13.000 morti ufficiali   – è in buona parte dovuto ad una risposta totalmente inadeguata e spesso esasperatamente politicizzata da parte della dirigenza lombarda. 

Roberto Muzzetta, 49 anni, imprenditore, di Milano dove vive, da molti anni fa parte della commissione organizzatrice del Milano Pride di cui è stato anche coordinatore, Componente del direttivo di Arcigay Milano e responsabile relazioni internazionali della segreteria di Arcigay nazionale.
Appassionato di arte, teatro, musica – canta nel Checcoro di Milano – e opera e grande intenditore di politica americana, convive col compagno e la cagnolina Minnie.

Sei impegnato nella segreteria nazionale di Arcigay. Come ha reagito a questa situazione inedita l’associazione?

Inizialmente vi è stato un momento di comprensivo spaesamento. Ci siamo domandati come si sarebbe evoluta la situazione e soprattutto cosa avremmo potuto fare. Quello che è stato, tuttavia, chiaro sin dall’inizio è che occorreva cercare – compatibilmente con la situazione – di dare continuità alla vita associativa e soprattutto di dare un segnale di vicinanza alle molte persone che nel contesto della quarantena avrebbero vissuto una condizione di particolare solitudine o addirittura di discriminazione e violenza.

In poche settimane sono nate molte iniziative locali  on-line che, unitamente alle iniziative della rete donne, rete giovani ed arcigay sport, hanno rappresentato il cuore di ONLIFE, la programmazione on-line delle nostre attività.

Da anni segui dall’interno l’organizzazione del Milano Pride. L’emergenza coronavirus ha ovviamente travolto l’organizzazione dei pride in tutto il Mondo. Molti sono stati annullati, altri rinviati sine die. InterPride ed Epoa hanno lanciato un giorno di mobilitazione virtuale. Cosa farete voi a Milano?

Come Milano Pride abbiamo aderito al GLOBAL PRIDE di INTERPRIDE ed EPOA – l’iniziativa di un pride virtuale che coinvolga tutti i pride del mondo. Con lo stesso spirito stiamo definendo come possiamo declinare anche localmente questa formula di virtual pride al fine di essere presenti anche quest’anno, in  modo diverso e alternativo.

Ma non sarà tutto virtuale. Stiamo pensando a qualcossa che, garantendo al massimo la sicurezza, secondo le regole del distanziamento fisico e delle misure di prevenzione più accurate, offra dei momenti di incontro e visibilità reali.

L’altro elemento a cui stiamo lavorando quest’anno è la solidarietà. Vogliamo usare la grande forza e capacità di mobilitazione attivazione del Milano Pride per raccogliere risorse e dare un contributo concredo alla ricostruzione sociale ed economica post covid.

Sul piano personale come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?

Personalmente questa quarantena è stata molto intensa e per certi versi impegnativa.  Passo almeno 10 ore al giorno tra email, video chat e telefonate.  Lo smartworking e gli impegni associativi hanno trovato nella quarantena la condizione ideale per dilagare nella mia vita personale.

Fortunatamente anche il mio compagno è molto preso con la finalizzazione della tesi di Master. Così ci sentiamo meno in colpa per non poterci dedicare più tempo.

Poco  prima della quarantena abbiamo adottato una cagnolina che ci tiene compagnia e ci costringe almeno due volte al giorno ad  interrompere le nostre attività per le sue legittime necessità fisiologiche.

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione Lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

La partecipazione fisica, concreta e “reale” è una componente essenziale sia della socialità in generale che, specificamente, dell’attivismo del nostro movimento. Sia nella forma di una pubblica manifestazione, che in quella di somministrazione di servizi alla comunità.

Ritengo tuttavia che il  distanziamento sociale invece di creare uno stato diffuso di alienazione ed isolamento, abbia in alcuni casi generato forme innovative di socialità e di aggregazione che potranno in parte arricchire anche nei prossimi mesi le modalità di partecipazione politica e di socializzazione. Tutto questo tuttavia avrà pesanti ricadute economiche che colpiranno anche molte realtà vicine alla nostra comunità. 

Oltre che un attivista sei anche un imprenditore. Proprio dal mondo produttivo stanno venendo grandi pressioni per la riapertura e per accelerare le prossime fasi di ripartenza. Secondo te come si sta avviando in Italia la “Fase 2”? Stiamo avendo troppa fretta o stiamo andando troppo lenti? Cosa servirebbe per poter ripartire in sicurezza?

Il contemperamento fra la tutela del tessuto economico di un Paese e la tutela della salute dei propri cittadini costituisce  l’ineludibile rebus che tiene impegnati tutti i governi in questo momento. Mi sembra che nessuno abbia la soluzione e che comunque i tre criteri fondamentali intorno cui ruota la gestione della cosiddetta fase2 in praticamente tutti i paesi del mondo sia la gradualità dei provvedimenti, il rispetto responsabile di norme di distanziamento sociale. Inclusa l’imposizione alle attività produttive di chiari protocolli di igiene e sicurezza e il monitoraggio continuo della situazione. In assenza di questi presidi ogni scelta, sarebbe un salto nel buio.

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

L’emergenza COVID potrebbe aggravare le ineguaglianze sociali, facendo emergere nuove marginalità e indurre sistemi con tendenze autoritarie a conculcare i diritti dei propri cittadini e le prerogative democratiche in nome della sicurezza.

Michelle Bachelet, l’alto commissariato per i diritti dell’uomo, ha recentemente dichiarato che fra le categorie che potrebbero soffrire di più delle negative ripercussioni socio-politiche dovute all’emergenza   COVID 19  vi siano proprio le persone LGBT*.

Mi concedo tuttavia la velleitaria speranza che nel medio periodo questa crisi possa costituire anche un’opportunità di immaginare forme più consapevoli e  sostenibili di sviluppo.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

In una situazione di emergenza sanitaria planetaria il rischio che la rivendicazione dei nostri diritti possa essere percepita come non essenziale è alta. Tuttavia sono  concreti anche i rischi citati dalla Bachelet per le persone LGBT* – basti vedere il caso Ungheria. La sfida è quella di tenere viva l’attenzione sulle nostre battaglia e sui principi a cui sono ispirate con determinazione, serietà e senso di responsabilità, come è avvenuto recentemente in relazione all’eccezione di  “congiunto” nella fase 2. Come Arcigay abbiamo ribadito l’importanza di andare oltre al vincolo di legame familistico  tradizionale per ricomprendere forme plurali  di affetti e di famiglia

In assenza di forme fisiche di mobilitazione e manifestazione che tradizionalmente hanno caratterizzato la nostra azione politica – basti pensare alla parata del pride –  dobbiamo essere creativi nel trovare forme alternative di mobilitazione e partecipazione. in questo la tecnologia e il consolidamento del rapporto con il  network internazionale delle associazioni lgbt* di cui arcigay fa parte possono rappresentare sicuramente dei punti di forza.

Mauro Patti, svegliamo il movimento dall’assopimento

Mauro Patti, svegliamo il movimento dall’assopimento

La partecipazione ritualistica ai pride non basta. Portiamo le istanze Lgbtq e di genere nel dibattito pubblico su lavoro, welfare, ambiente, scuola, sanità

Oggi abbiamo sentito Mauro Patti. Giovane attivsta impegnato da anni, nei movimenti studenteschi, antimafia Lgbtqi ha trasformato la sua passione per il sociale e lo scambio tra culture in professione occupandosi di programmi internazionali per la Fondazione Villa Maraini e in Croce Rossa.

Un’esperienza sul campo, a stretto contatto coi bisogni reali delle persone che rendono il suo messaggio per questa fase molto forte perché al tempo stesso radicale e concreto.

Da anni lavori con la Croce Rossa e la Fondazione Villa Maraini in prima linea in ambito umanitario, tra le tante attività ci sono quelle delle sue unità di strada al fianco delle persone più fragili e nella prevenzione dell’HIV. Com’è cambiata la vostra attività in epoca di coronavirus?

Lo stigma può uccidere più di un virus. Ogni anno, ad esempio, circa mezzo milione di persone muore a causa della droga in tutto il mondo. Anche questa è una pandemia permanente, per molti di serie B. La causa di tanta sofferenza è intensificata dalla violenza e discriminazione che queste persone subiscono ogni giorno. Per questo abbiamo mantenuto attivi tutti i servizi, riorganizzando il lavoro e mettendo in sicurezza la struttura.

Mauro Patti (di spalle) in attività di formazione

Offrire servizi sanitari e protezione sociale ai più vulnerabili, soprattutto in momenti così critici, è fondamentale per un’associazione umanitaria come la Croce Rossa a livello internazionale. Villa Maraini, la sua agenzia sulle tossicodipendenze e MST, è un’eccellenza mondiale per la cura dei tossicomani, che ha promosso per prima al mondo le strategie umanitarie di riduzione del danno e dei rischi da malattie infettive, esportando questo modello in tanti Paesi.

Nell’ambito della cooperazione internazionale, la pandemia da Covid-19, ha bloccato progetti in cui siamo impegnati da anni, come in Iran o in Kenya, dove c’è un gran bisogno di politiche umanitarie, misure alternative al carcere e assistenza sanitaria in quest’ambito.

Ridurre il danno significa evitare l’irreparabile. Salvare vite. Ora più che mai. Agganciare le persone per strada con le unità mobili significa dar loro l’opportunità di non infettarsi. Abbiamo deciso di sospendere la somministrazione dei test rapidi che fino a febbraio scorso ci ha consentito di avviare centinaia di positivi alle cure. Dagli anni ’90 ad oggi infatti, grazie alla riduzione del danno, la trasmissione delle Epatiti e Hiv tra i tossicomani è crollata di oltre il 60%, e solo su Roma, più di 2500 persone che, a causa dello stigma, la società avrebbe lasciato soccombere, sono state salvate da morte certa per overdose.

Mauro Patti

Mauro Patti, 33 anni, campano, dal 2005 vive a Roma, con alcuni intervalli di lavoro a Barcellona, Londra e Bruxelles. Lavora sui programmi internazionali della Fondazione Villa Maraini e della Croce Rossa e si occupa da anni di cooperazione internazionale, di progetti umanitari e sviluppo di campagne in ambito socio-sanitario operando in più di 20 paesi nel mondo. Ha militato nelle associazioni studentesche, antimafia e nel movimento Lgbtqi.

Quali sono le criticità che state riscontrando nella vostra attività sul territorio? Quali le difficoltà e i rischi per chi vive in strada, o in sistemazioni di fortuna, per le persone più povere e i/le sex workers?

Il lockdown non ha fermato la smercio di sostanze, né le richieste continue di aiuto. Per questo ci siamo attrezzati per assicurare in sicurezza, h24, tutti i nostri servizi in strada e in struttura. Gran parte dell’utenza, come i senza dimora e persone che si prostituiscono, sa cosa significa vivere in uno stato perenne di emergenza, quindi è più resiliente e ha saputo reagire forse meglio di noi tutti alle restrizioni e allo stato di angoscia. Ma il rischio per loro è alto. Mentre i carcerati che sono in misura alternativa presso la nostra struttura, abituati alla limitazione della libertà di movimento, non hanno avuto stravolgimenti, ciò che li preoccupa è la questione lavorativa delle rispettive famiglie e il loro futuro. Fortunatamente non ci sono stati casi di positività. Ciò che ci preoccupa è una diminuzione nel prossimo futuro di fondi nel sociale e sanità a favore dei più vulnerabili.

Sul piano personale invece come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?

Ho sempre avuto una vita frenetica, fatta di viaggi di lavoro e di piacere. Un’ipersocialità quasi patologica fatta di continui contatti umani nel corso di serate, eventi culturali e ricreativi, di incontri e fughe settimanali con il mio compagno che vive a Napoli. Queste rinunce sono difficili da gestire, non sono mancati momenti di inconsolabile timore sul futuro.

Nel frattempo non ho smesso di andare a lavoro e questo è stato per alcuni versi un vantaggio. I ritmi si sono rallentati, ho potuto leggere e studiare di più, cucinare e prendermi cura delle piccole cose ritrovando il “tempo perduto”. Non mi rassegno all’idea del distanziamento sociale, anzi meglio dire fisico, perché ci consente comunque di coltivare la nostra socialità e interessi. Magari è anche un’occasione per costruire qualcosa di buono e riattivare l’impegno sociale anche fuori dal lavoro. Come fanno centinaia di ragazzi con il banco alimentare per l’associazione Nonna Roma, con cui abbiamo distribuito 900 pacchi alimetari solo nello scorso weekend (ndr. dell’impegno di Nonna Roma ci ha parlato qualche settimana fa Filippo Riniolo).

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione Lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

Penso sia impossibile contenere ancora a lungo i bisogni affettivi, di contatto fisico, di abbracci, di socialità non virtuale. Contenere il bisogno di ascoltare della buona musica dal vivo o ballarla e basta. Ma la prospettiva è molto buia soprattutto per il mondo dell’intrattenimento dal vivo e dello spettacolo. Spero che le paura alimentate da tutto ciò che il virus sta cambiando delle nostre vite non passi invano, senza lasciarsi indietro un vero cambiamento. Il carattere sovraidentitario di questa crisi spero sia in grado di farci comprendere quanto siamo inesorabilmente connessi, nelle fragilità e nelle scelte individuali.

Una conseguenza grave di questa messa al bando degli spazi fisici, penso sia legata alla perdita della visibilità singola e collettiva della comunità rainbow. Condizione imprescindibile per l’emancipazione e orgoglio della comunità. Strumento importante anche a far sentire meno sole le persone che vivono in solitudine la loro condizione sessuale o di genere. Un giovane ragazzo pugliese ad esempio, esausto dei suoi genitori, ha contattato nelle ultime settimane decine di strutture che dispongono un servizio notturno, e si è imbattuto anche nella nostra. Su questo l’iniziativa della Casa Rifugio Lgbt della Croce Rossa è importante, ma molto limitata (Roma). Bisognerebbe averne 1000 di queste strutture in tutta Italia. Il nostro welfare passa anche da qua.

In questi giorni si parla di questa incerta fase 2. Per la tua esperienza cosa può essere utile per ripartire in sicurezza? Quali errori dovremmo evitare?
Mauro Patti

Spero che saremo tutt* in grado di comportarci con responsabilità come negli ultimi due mesi. Ciò che temo ora, oltre a un fisiologico aumento di contagi, è la sicurezza sociale e lavorativa di molti. Quando diciamo che #andràtuttobene, bisogna aggiungere la congiunzione “Se” come è emerso bene nella campagna de IlCorsaro.info. Perché se non estenderanno un reddito a chi non lo ha, se non smetteranno di licenziare, se non bloccheranno gli affitti, se non daranno fondi alla ricerca e alla scuola, se non regolarizzeranno i migranti, se non finanzieranno l’arte e lo spettacolo, se non faranno pagare a chi ha di più questa crisi, non ci sarà sicurezza né ripartenza possibile.

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

Anche se la pandemia ci ha fatto sentire tutti vulnerabili, sappiamo che le crisi portano a galla contraddizioni e fragilità, non solo dei sistemi economici, mettendo in risalto tutte le iniquità sulla distribuzione della ricchezza, ma anche quelle politiche e sociali che sfociano spesso in una lotta tra poveri.

Dopo l’ultima recessione economica abbiamo visto in Europa avanzare i populismi e il consenso delle destre, che hanno speculato sulle fragilità del sistema europeo, in cui in effetti è venuto meno lo spirito solidaristico e il fattore umano. E questo egoismo degli stati del Nord contro quelli del Sud sta venendo fuori oggi in tutto il suo clamore.

Ritengo sia inaccettabile che nel corso di una crisi, come in una guerra, i profitti dei pochi settori che lavorano non vengano socializzati mentre milioni di persone perdono il lavoro e non hanno di che mangiare. Non ci si può salvare da soli, magari a scapito degli altri. Bisogna porre le condizioni perché questa crisi non venga pagata ancora una volta dai soggetti più fragili, è l’occasione per farne una battaglia europea e non solo nazionale, per spostare ad es. il peso della fiscalità dal lavoro alle rendite/patrimoni. Reinvestendo i profitti di chi in questi mesi ha decuplicato le entrate per finanziare forme di reddito per i precari, disoccupati, studenti, donne, trans, gay, famiglie fragili: un welfare di autodeterminazione, uno strumento contro il ricatto della precarietà, della discriminazione, della violenza e dell’abuso di potere.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Mi preoccupano sia le solite ghettizzazioni lobbistiche di alcune frange del movimento lgbtqi, sia l’assopimento che vive da alcuni anni il nostro movimento, che spesso si limita alla partecipazione ritualistica del pride, me in primis. Credo sia fondamentale animare un dibattito interno al movimento per riorganizzare le priorità e inserirci nel dibattito pubblico, assieme agli altri movimenti, per dire la nostra sui temi del lavoro, welfare, sanità, formazione, ambiente ed economia, e a tenere dentro tutte le istanze lgbtqi e di genere.

Quest’assopimento temo sia stato acuito dalla falsa percezione di aver raggiunto una certa libertà grazie al proliferarsi di serate friendly, delle app di incontro e dopo l’approvazione della Cirinnà, facendo venire meno la cultura dell’impegno e alimentando quella dello svago.

Ora però è tempo di i alzare i tacchi e ventaglio per dire la nostra in questa fase decisiva di mutazione. I rapporti di forza in una crisi così potente si acuiscono e proprio mentre la società si trasforma è necessario indicare come debba avvenire questa trasformazione, senza limitarsi a guardarci l’ombelico.

Bisogna porsi in un’ottica di superamento delle categorie: per un movimento di liberazione rainbow non basta essere della parrocchia, ora più che mai è necessario mettere in discussione un modello di società alternativo che tenga conto prima di tutto dei più fragili, umanizzando questa crisi costruendo sistemi di solidarietà, fratellanza e mutualismo. Altrimenti diventa una lobby economica e folkloristica fuori dalla storia e dalla realtà.

Minerba, impariamo a fare lobby e vinceremo

Minerba, impariamo a fare lobby e vinceremo

In passato abbiamo perso troppe occasioni – dice il fondatore dello storico festival Lgbtqi torinese – uniti, pur nelle nostre differenze, siamo imbattibili

Il coronavirus lo ha ferito ma non lo ha fermato. Per la prima volta nei suoi 35 anni di storia il Lovers Film Festival di Torino – il primo e più longevo festival Lgbtqi d’Europa – si è svolto in un’inedita edizione online, senza sala e senza pubblico dal vivo. Ma per una fortunata intuizione della sua nuova direttrice artistica Vladimir Luxuria ha mantenuto una programmazione online nei 4 giorni del suo calendario previsto che si chiude proprio oggi.

E allora proprio oggi col nostro progetto vogliamo dare spazio alle parole di Giovanni Minerba, che quel festival lo ha fondato, assieme al suo compagno Ottavio Mai nel 1986, e ha continuato a dirigerlo fino a pochi anni fa, conservando comunque un ruolo centrale ancora oggi in quello che grazie a lui è divetato uno degli appuntamenti culturali più importanti di Torino a livello internazionale.

Stai per lasciare Torino, dove 35 anni fa assieme al tuo compagno Ottavio Mai, hai dato vita al Torino GLBT Film Festival – Da Sodoma a Hollywood (Oggi Lovers Film Festival), per tornare a vivere nel tuo Salento. Come sarà questo ritorno?

Ovviamente è stata una decisione combattuta per tanti motivi. Già da qualche anno almeno 4/5 mesi li passo in Salento, dove con il mio compagno Damiano Andresano da circa quindici anni gestiamo una struttura ricettiva per l’estate. Negli ultimi anni tante cose sono cambiate per giustificare la mia presenza a Torino a partire dal mio “allontanamento” dal Festival.

Pensare di ritornare al Sud, la mia amata terra, è stato anche semplice, perché dovendo gestire la struttura Damiano era già residente in Salento, e quando, dopo 27 anni di convivenza, abbiamo deciso di fare l’Unione Civile, anche io ho dovuto fissare lì la mia residenza. Ma a parte questo il nostro rapporto con la comunità salentina è sempre stato eccellente, e anche il mio essere “conosciuto” è stato determinante. Come saprai, la nostra Unione è stato un evento pubblico, celebrato nel piccolo anfiteatro del mio paese natale (Aradeo) con migliaia di partecipanti. Questo ha consacrato la bellezza della nostra convivenza con la comunità.

Poi noi abbiamo un costruttivo e creativo rapporto con la realtà Lgbtqi salentina e questo sarà molto stimolante per la nuova vita di un “diversamente vecchietto” come me.

Ma Torino sarà comunque sempre la mia città. Ci sono “cresciuto” e ci ho vissuto 47 anni, mi ha dato tanto e la ringrazierò sempre. Ma soprattutto a Torino c’è Ottavio e una via dedicata a lui.

Giovanni Minerba, nato ad Aradeo (Lecce) nel 1951, vive a Torino dal 1972. È lì che nel 1977 incontra il suo compagno Ottavio Mai col quale dà avvio a un inossidabile legame artistico e sentimentale. Assieme autoproducono e girano diversi film, premiati in vari festivale e nel 1986 fodano
il Torino International GLBT Film Festival “Da Sodoma a Hollywood”.
Dopo la morte di Ottavio, Giovanni continua a girare film e a dirigere il “suo” festival initerrottamente fino al 2017 quando lascia il testimone.
Nel luglio 2019, con un evento pubblico di grande risonanza, si unisce civilmente con il compagno Damiano Andreasano nell’anfiteatro della sua Ardeo.
Oggi, dopo 48 anni di vita a Torino, Giovanni si appresta a rientrare definitivamente nel Salento dove col compagno gestisce un suggestivo Bed & Breakfast nel centro di Galatone (Lecce).

Parlando del Lovers Film Festival per la prima volta da quando è nato, a causa dell’emergenza coronavirus non si è potuto svolgere regolarmente con il pubblico e gli spettacoli dal vivo, ma si è scelto comunque di non fermarlo dando vita a un’inedita versione online dal 30 aprile al 4 maggio. Come vivi questa forzata distanza fisica col pubblico? Com’è nata l’idea e di cosa si tratta?

Come per tutti gli eventi che si sono trovati a dover affrontare questa situazione non è stato semplice. Saprai che da quest’anno a dirigere il festival c’è l’amica Vladimir Luxuria. Quando si è appurato che il festival non sarebbe stato possibile organizzarlo come è sempre stato, piuttosto che annullarlo, o quantomeno rimandarlo e basta, in attesa di capire cosa sarebbe successo, Vlady ha suggerito questo evento: nei giorni in cui doveva svolgersi, una rassegna online con film di autori italiani che erano stati programmati al festival nelle edizioni precedenti. Una scelta che mi è subito piaciuta anche perché io ho sempre voluto sostenere il cinema Lgbtqi di giovani e non autori italiani.

Certo che per me, ma non solo per me credo, tutto questo è molto strano. Incredibile. Sono certo che non sarò il solo a pensare con nostalgia a quello che si viveva durante il festival, le code dei sempre affezionati spettatori davanti al cinema, gli amici che arrivavano da fuori e che rivedevi dall’anno prima… Mamma mia che tristezza…

Allo scoppiare dell’emergenza sei stato fermato proprio a Torino e non sei potuto rientrare nella tua nuova casa salentina. Cosa è successo? Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?
Giovanni Minerba con Vladimir Luxuria

Ero a Torino perché si prevedeva una mia collaborazione con Vlady per il festival, stavo comunque organizzandomi un viaggio in Salento per dopo il 7 marzo, che era il giorno dell’Unione di due cari amici. Dopo la festa Damiano è andato in Spagna, l’8 è scoppiata l’emergenza. Damiano è poi riuscito a tornare in Salento mentre io sono bloccato a Torino da sessanta giorni.

Quindi, come lo sto vivendo? Innanzitutto, lasciamelo dire, a forza di stare seduto il mio bel culo si sta appiattendo. Se sarà possibile chiederò un bonus per la riabilitazione… Per il resto credo di viverlo come buona parte delle persone di buon senso: chiuso in casa appunto con le uscite per la spesa e il giro dell’isolato un paio di volte al giorno.

Il “lavoro” non c’è, ma cerco di scrivere qualcosa che potrebbe trasformarsi in lavoro.

Le abitudini, quindi cinema, teatro, lunghe passeggiate serali mi mancano, mi mancano molto!

Le relazioni, a parte lontananza con Damiano, a cui sono anche abituato, mi mancano le cene con gli amici (non molti), che non sono soltanto il mangiare, ma soprattutto parlare, abbracciarci…

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione Lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?
Giovanni Minerba con Claudia Cardinale

Credo che quest’evento sarà, dovrà essere, l’occasione per provare a spostare lo sguardo su quanto si è smarrito. Secondo me negli ultimi anni ci sono state occasioni che ci potevano dare la possibilità di pretendere e ottenere di più. Non abbiamo intercettato e utilizzato bene queste potenzialità. Si è fatto tanto ma non quanto era possibile e sicuramente questo è successo perché non si è avuta la scaltrezza di essere UNA “lobby”. Sia chiaro non piacciono la scaltrezza e le lobby, ma sono spesso utilizzate, erroneamente. Questo, secondo me, per decenni è stato il principale errore del movimento Lgbtqi italiano. Democraticamente può essere anche giusto, ma poco funzionale. Nella realtà torinese che conosco direttamente invece posso dire che il tentativo di coalizzare i vari gruppi ha funzionato abbastanza con il Coordinamento Torino Pride, che è diventato UNA, se pur piccola, lobby.

Credo quindi che alla ripartenza si dovrebbe incominciare a pensare ad una sorta di banale “Tutti per uno, uno per tutti”. Ognuno con le sue peculiarità, ma non ognuno con lo sguardo verso il proprio ombelico.

Per chi come te ha dedicato tutta la vita alla promozione dell’arte e della cultura, di cosa avrebbe bisogno oggi questo mondo fragile e così duramente colpito per evitare il disastro?
L’unione civile di Giovanni Minerba (a sinistra) e Damiano Andreasano

Ovviamente ho ascoltato e letto di tutto in questi lunghi e devastanti giorni, credo che la “proposta” più stupida sia stata quella di riesumare il “Drive-in”… Allora, mi ripeterò, ma anche su questo penso sia necessario rivedere molte cose, non credo alle soluzioni alternative estemporanee, palliativi. Nell’arte non è più possibile continuare a considerare solo l’Artista. Finalmente dobbiamo tenere in considerazione l’intero processo: quello che c’è prima, durante e dopo che “l’Artista” salga sul palco o vada sullo schermo.

E mi ritorna “l’ombelico”. Oppure, pur essendo di carattere positivo, ribadisco il pensiero di una cara amica, Elena Sofia Ricci, che ad una domanda sul dopo Covid ha risposto: “Ho paura della resistenza dell’essere umano ad evolversi

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

Credo non si possa ancora immaginare, in questo momento si deve solo stare all’erta, essere pronti a nuove sfide, con più e diverse determinazioni, facendo in modo di cogliere le possibilità che si presenteranno. Noi comunità Lgbtqi, potremmo trovarci a dover affrontare pesantemente il futuro. Voglio immaginare di poterlo affrontare quasi ad armi pari, con una politica possibilmente onesta di fronte alle emergenze sociali ed economiche che si presenteranno, anzi sono già in atto. Se vogliamo questa drammatica situazione potrebbe prestarsi a farci essere “più forti che pria”.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Anche su questo, come dicevo prima, è difficile immaginare prospettive precise. Viviamo in un’epoca “virtuale” e in era coronavirus, siamo tutti immersi in questo mondo. Per questo anche in Italia si sta lavorando ad un progetto alternativo che ci vedrà svolgere decine di Pride in modalità virtuale con tutto il mondo. Potrebbe servire anche per fare un punto della situazione sui  diritti Lgbtqi negli altri Paesi perché i diritti, non possono andare in quarantena. E’ necessario esserci, anche virtualmente, e sicuramente leggeremo di un grande successo. Da lì bisogna ripartire, pensando alle nuove e future generazioni.

La locandina del Torino GLBT Festival da Sodoma a Hollywwod
Di Martino, la comunità Lgbtqi deve riconoscere le persone trans

Di Martino, la comunità Lgbtqi deve riconoscere le persone trans

Per l’attivista trans di Arcigay Orlando Brescia, le priorità sono l’accesso ai medicinali e il cambio di nome e documenti senza attendere anni una sentenza

Il nostro viaggio nella cominità Lgbti ai tempi del coronavirus approda oggi in una delle aree più tragicamente colpite dal covid 19, da dove abbiamo raccolto la testimonianza dell’attivista trans Andrea Di Martino, 66enne pensionato, dopo aver lavorato per anni come operatore socio sanitario, oggi è volontario della protezione civile e resiede ad Azzano Mella in provincia di Brescia.

Il suo attivismo è cominciato molti anni fa, come Rita, nell’associazione Pianeta Milk di Verona, in cui ha ricoperto cariche direttive per circa 10 anni, fino a due anni fa, quando si è trasferito a Brescia a casa della compagna Laura Bianchi. Il cambio di nome per la legge italiana è avveuto solo il 22 febbraio del 2018. Adesso fa parte del direttivo di Arcigay Orlando, dove assieme alla compagna e con l’appoggio di tutta l’associazione ha dato vita al Gruppo T.

Tu vivi in provincia di Brescia, una delle zone più duramente e tragicamente colpite dall’epidemia di coronavirus. Da volontario della Protezione Civile sei stato in prima linea nella gestione dell’emergenza. Puoi raccontarci cosa è successo e come hai affrontato queste settimane? Hai un episodio particolarmente significativo da condividere?
Andrea di Martino con la casacca di volontario della Protezione Civile

Sì, vivo a Brescia ma faccio parte della Protezione Civile del nostro Comune, sto aspettando che questa pandemia finisca per poter iniziare a fare anche il soccorritore presso Bassa Bresciana di Dello. 

Da fine febbraio a tutt’oggi sono stato impegnato come Protezione Civile, per consegnare mascherine, pacchi alimentare ect. Poi il nostro compito è sempre vigilare sul territorio, per assicurare che si rispettino le regole.

Quel che porto dentro e che vedo tutti i giorni è la solitudine delle persone anziane, quando vai da loro anche se non ci vedono perché siamo sempre con le mascherine, ma dai nostri occhi colgono un sorriso una carezza che non puoi fare. Ecco questo mi porto dentro tutti i giorni.  

Sul fronte personale invece come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiate le tue abitudini, le tue relazioni?

Sto vivendo questo momento molto serenamente perchè mi permette di aiutare gli altri, e questo mi rende anche felice. Ho dovuto impare molto con la tecnologia, per vedere i miei amici e i miei gruppi.

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme anche sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come avete reagito nel Circolo Arcigay Orlando di cui fai parte? Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

Dopo un primo momento di smarrimento abbiamo attivato tante videoconferenze, sia con i soci che con i gruppi proprio per non far sentire nessun* sol*.

Per la ripartenza ci stiamo organizzando per essere operativi non appena avremo il permesso di aprire, ma  intanto con le videoconferenze restiamo vicino al nostro mondo. 

Prima dello scoppio dell’emergenza nella comunità trans italiana era in corso un vivace confronto. Quali sono secondo te oggi le priorità per le persone transgender nel nostro Paese?
Andrea Di Martino con una "sardina" disgnata sulla bandiera trans
Andrea Di Martino con una “sardina” disgnata sulla bandiera trans

Innanzitutto sarebbe importante che la Comunità Lgbtqi+ tutta riconosca veramente il mondo T, troppo spesso trascurato, perché siamo persone che devono spesso affrontare un percorso molto più difficile di altr* all’interno della comunità stessa.

Le mie priorità per le persone trans sono una legge che ci tuteli in tutti i sensi, garantendo l’accesso (non a pagamento) ai medicinali per noi indispensabili, l’accesso agli ospedali senza le liste di attesa di 3/4 anni, e poi il riconoscimento ufficiale della nostra identità, del nostro nome senza dover aspettare una sentenza. Perché chi non si riconosce nel proprio corpo e nel nome e sesso assegnato alla nascita non riesce altrimenti ad esprimere pienamente e liberamente la propria identità.

Mi piacerebbe  che in primis i genitori accettino i propri figli e le proprie figlie e non li/le caccino di casa come succede spesso ancor’oggi.

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

Mi  auguro che il mondo politico prenda coscienza delle persone e le aiuti. Non bisogna aiutare solo chi sta già bene ma bisogna aiutare più della metà degli italiani che soffrono proprio la fame. Nel nostro piccolo come Orlando diam il nostro contributo, aiutando le persone T  di Brescia che non avevano da mangiare con dei pacchi di prima necessità.

In questo Paese vorrei tanto che riuscissimo ad avere un matrimonio egualitario per proteggere i nostri figli, una legge contro le discriminazione per tutt* e che i politici ci rispettassero come persone non per le etichette che ci danno, perché ripeto siamo persone come tutt*.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Per me ci sono cose molto più importanti che la liberazione sessuale, prima devono arrivare i diritti paritari per tutti  e poi si potrà parlare anche della sessualità. Ogni persona può amare un’altra persona senza essere attaccato dagli altri ognuno deve essere libero, senza offendere o togliere nulla, di amare chi vuole.   

Pini, la visibilità delle persone Lgbtqi unico modo per affermarci

Pini, la visibilità delle persone Lgbtqi unico modo per affermarci

Per lo storico attivista, tra i fondatori del Circolo Mario Mieli, per difendere diritti e visibilità ci servono meno personalismi e più senso di comunità

Tra le voci del nostro progetto non poteva mancare Andrea Pini, ex insegnante di scuola superiore da poco in pensione e storico attivista del movimento Lgbtqi italiano sin dal 1979, quando ha organizzato una delle prime manifestazioni di piazza a Pisa. Nel 1983 è stato tra i fondatori del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli di Roma, divenendone il terzo presidente tra il 1989 e il 1993. Importante anche la sua opera di saggista e storico del movimento con “Omocidi. Gli omosessuali uccisi in Italia” (Stampa alternativa 2002) e “Quando eravamo froci” (Il Saggiatore 2011).

Ma siccome chi come Andrea ha l’impegno civile nel sangue resta sempre attivsta e guarda sempre avanti, da qualche anno assieme a un gruppo di persone Lgbtqi ‘over’ ha dato vita all’Associazione Agapanto, anziane/i Lgbt per una coabitazione sociale.

Dopo una vita da attivista da qualche anno con un gruppo romano avete dato vita ad Agapanto, associazione che prova a dare risposta alle esigenze di socialità, solidarietà, condivisione e coabitazione di anziani/e Lgbti. Quali sentimenti si respirano all’interno di questa rete rispetto a una malattia che colpisce così duramente in particolare nelle fasce di età più avanzata?

Agapanto è un’associazione giovane – nonostante le nostre età assai adulte – e ancora poco strutturata. La dirigenza è fatta da un gruppo di 6 persone e l’associazione nel suo complesso non arriva a 50 soci. Il nostro modo di comunicare in questo periodo è essenzialmente tramite il gruppo su whatsapp (Età-beta) che condivide le esternazioni di 32 persone. Ogni giorno ci scambiamo molti messaggi, alcuni di pura evasione e divertimento (vignette che girano sulla rete), altri di informazioni utili (numeri di telefono per assistenze varie, visite guidate virtuali in musei e siti di interesse culturale).

Negli ultimi giorni si è sviluppato un dibattito sul rispetto dei diritti delle persone anziane che taluni sentono minacciati da eventuali provvedimenti restrittivi ad hoc. C’è molta voglia di libertà e di autodeterminazione. Dal gruppo non emergono vissuti di disperazione o paure, al contrario i partecipanti si mostrano lucidi e positivi.

Andrea Pini, nato nel 1955 a La Spezia, ex insegnante di Ecologia, Economia ed Estimo negli istituti tecnici. In pensione da pochi mesi. Single, a Roma da 40, al momemnto convive con un caro amico.
Nel 1979 è stato cofondatore del Collettivo omosessuale Orfeo di Pisa con il quale ha organizzato nello stesso anno una delle prime manifestazioni Lgbtqi di piazza in Italia.
Nel 1983 è tra i fondatori del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli di Roma, di cui è presidente negli anni 1989-1992.
Giornalista per le tre storiche testate Lgbt Lambda, Babilonia e Pride, è autore di “Omocidi. Gli omosessuali uccisi in Italia” (Stampa alternativa 2002) e “Quando eravamo froci” (Il Saggiatore 2011).
Oggi con altre persone Lgbtqi ha dato vita all’Associazione Agapanto, anziane/i per una coabitazione sociale.

In “Quando Eravamo Froci” hai analizzato com’era la vita delle persone omosessuali in Italia nella prima metà del 900, prima che il 68 e i pride aprissero una nuova stagione di visibilità, lotte e possibilità di costruire identità a livello individuale e collettivo. Con l’occhio da studioso come vedi la comunità Lgbtqi oggi?

Non la vedo molto, la frequento poco anche sui social. Le cose più interessanti che mi sono capitate sotto gli occhi (di sicuro ce ne sono altre ma non le ho viste né cercate) mi sembrano la Rete Lenford e il tentativo, temo velleitario, di creare un archivio LGBT nazionale che sarebbe bene non fosse gestito dalle singole associazioni ma da una fondazione nazionale indipendente.

Cito anche l’interessante corso di Storia contemporanea su “Diritto, storia cittadinanza delle persone LGBTI” che sta facendo il prof. Domenico Rizzo all’Università di Napoli.

Quanto alle associazioni politiche mi sembrano del tutto ininfluenti al momento, anche perché purtroppo non sono all’ordine del giorno i due provvedimenti legislativi che servirebbero (matrimonio egualitario e legge antidiscriminatoria). E poi ci sono gli anziani come l’associazione Agapanto, che per il momento è ferma. Ma per fortuna ci sono anche i giovani, che di solito sono portatori di novità e di salti in avanti!

Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiate le tue abitudini e le tue relazioni?
Andrea Pini (sinistra) e Porpora Marcasciano

Paradossalmente lo sto vivendo molto bene. La situazione straordinaria ci limita molto, ma ci lascia anche uno spazio e un tempo nuovi. È come se fossimo dispensati dall’obbligo di una vita frenetica e piena di eventi, persone, cose, spostamenti. E togliendo tutto quelle cose, a sorpresa, ne rimangono molte altre come la lentezza, la mente sgombra dai programmi “esterni”, la possibilità di una cura maggiore di sé, del cibo che mangiamo, della casa.

La scoperta (o la conferma) che molte cose che credevamo indispensabili non lo sono, come i viaggi, l’andare dall’altra parte della città, i negozi, la necessità di incontrare dal vivo tante persone amiche….

Sono comunque un privilegiato, abito in una casa grande e luminosa, insieme ad un caro amico con il quale condivido “prigionia”, pranzi cene e pulizie; non lavoro (sono in pensione da pochi mesi); non ho problemi economici; e posso incontrare a piedi alcune persone care (ci incontriamo per fare la spesa insieme).

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

È vero. Si è fermato tutto il mondo aggregativo Lgbtqi. Penso che i ragazzi e le generazioni intermedie ne soffrano parecchio (noi più grandi ne soffriamo certo meno). Le persone Lgbtqi hanno più bisogno del resto della popolazione di incontrarsi e riconoscersi dato che siamo una minoranza di per sé non visibile.

Questo periodo di stacco potrebbe essere utile per rendere tutti più consapevoli del fatto che nulla è scontato, che certe cose sono conquiste da proteggere, che la visibilità è una costruzione politica e culturale. Sarebbe bello ripartire sapendo che siamo tutti uguali e tutti fragili, con meno presunzioni, meno voglia di affermare se stessi e più voglia di affermarci come comunità, meno interesse per il potere individuale, più voglia di potere collettivo e solidale. Non so come saranno i prossimi mesi, non lo sa nessuno. Credo che la nave ballerà parecchio, e noi siamo dentro questa nave Italia.

Le scuole sono state chiuse quasi subito e probabilmente non riapriranno fino a settembre. Da insegnante in pensione da pochi mesi, come ti sembra stia reagendo quel mondo? Vedi delle particolari criticità, per esempio nella formazione a distanza?
La visibilità di Andrea Pini nel suo lavoro a scuola – articolo uscito su Vanity Fair nel 2013

È incredibile come si fa presto, uscendo da un mondo che è stato il tuo mondo per quasi 40 anni, a sentirlo lontano e quasi estraneo. A parte questo credo che ora c’è l’occasione per sperimentare la didattica a distanza, l’uso più massiccio della tecnologia e degli strumenti multimediali. E credo che questo sia molto interessante e anche stimolante per tutti. Negli ultimi 10 anni nella scuola non si è parlato d’altro ma non si è trasferito nella lezione quotidiana quasi niente. Credo però che la lezione frontale, guardandosi in faccia, stabilendo un contatto di sguardi, creando una situazione di empatia simile a quella del teatro, sia almeno in parte insostituibile. Così come è insostituibile la dimensione collettiva della lezione. È un po’ come andare al cinema o vedersi un film in salotto. Per quanto riguarda l’applicazione pratica so dai miei ex colleghi che è tutto molto improvvisato, difficoltoso, faticoso da organizzare e da svolgere. Mi dicono che loro stanno lavorando il doppio. Ovviamente allo stesso stipendio.

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?
Andrea Pini al Pride

È una domanda difficile. Il mio desiderio utopico è che sia colta l’occasione per ripensare tutto, ma so che è solo un sogno rivoluzionario.

È tutto imprevedibile, potrebbe succedere come dopo la Prima Guerra Mondiale, con instabilità, crisi economiche, involuzioni nazionaliste e totalitarie. Oppure come dopo la Seconda, con una gran voglia di ricominciare, un boom economico, la nascita di una nuova Europa. Ma probabilmente nessuna delle due, o forse un misto fra le due. Oggi però sappiamo qual è la differenza tra vivere in democrazia e dentro un totalitarismo. E spero che questa consapevolezza ci salvi tutti quanti, come Italia e come Europa, perlomeno!

Il mio timore è che la fretta e la necessità di ricominciare ed andare veloci faccia perdere i più deboli socialmente ed economicamente, faccia perdere diritti, faccia perdere le donne (e le persone Lgbtqi). E poi che l’attenzione crescente che stava maturando sul clima subisca un arresto. Rischiamo meno regole e meno controlli sull’uso del territorio e delle risorse primarie, più inquinamento (basti pensare alle auto private che diventeranno il solo mezzo sicuro per spostarsi). Certo nei cambiamenti escono fuori anche opportunità positive, come il lavoro da casa o la possibilità di ricostruire una sanità pubblica decente, o di cose che ora non cogliamo. Confido che sapremo riconoscerle e utilizzarle. Facciamo gli scongiuri affinché l’attuale classe politica italiana sia all’altezza, se no saranno guai.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Anche in questo caso abbiamo bisogno di alleanze e le nostre possibili sodali possono essere solo le donne – quelle consapevoli dei ruoli, dell’oppressione. Quello della liberazione dall’oppressione patriarcale è un processo che immagino come inarrestabile.

Certo che se vincono gli Orban e i Salvini ci sarà un lungo periodo involutivo e tristissimo, ma non potrà che essere una parentesi. Nessuna donna vuole veramente tornare ad essere quello che è stata fino a 50 anni fa e nessuna persone Lgbtqi+ vuole tornare nelle catacombe. Solo estreme minoranze vogliono essere irregimate da bande di folli ultraortodossi come quelli del Convegno di Verona dello scorso anno. Siamo centinaia di milioni e il processo andrà avanti.

Anche qui l’inevitabile crisi economica che si aprirà rischia di remare contro di noi. A meno che prevalga un nuovo spirito solidaristico e costruttivo che sia la spinta per una nuova Europa e una nuova Italia. E, dato che questa crisi è più globale di qualsiasi altra crisi, molto di più della Seconda Guerra Mondiale stessa, una brezza di buona rinascita potrebbe spirare anche in altre parti del globo. Le nostre richieste di diritti penso che saranno le stesse che sono maturate in questi ultimi anni, matrimonio egualitario, adozione dei figli del partner, uguali diritti dei bambini e bambine nati da una coppia Lgbtqi+ rispetto agli altri bambini, una scuola attenta, rispettosa, colta sulle differenze, una vera legge antidiscriminatoria. Rispolvererei anche il vecchio diritto alla/alle visibilità! Perché siamo minoranza e dobbiamo sempre un po’ affermarci nella sfera pubblica, per esserci veramente come persone intere.