Franco Buffoni, La nostra classe politica è inadeguata, ma l’Europa ci può salvare
Se impareremo il valore delle competenze e della scienza, limiteremo il regionalismo e daremo valore allo smart working questa crisi ci avrà insegnato molto
Il viaggio di AltreStorie nella comunità Lgbtq+ ai tempi della pandemia, oggi ci porta a casa di Franco Buffoni, importante poeta e letterato italiano che da molti anni ha fatto dell’impegno civile e della battaglia per laicità una missione, sia nelle sue opere sia nelle tante occasioni pubbliche che, prima del lockdown, lo vedevano spesso protagonista in giro per il Paese.
Classe 1948, di Gallarate, Franco Buffoni è ordinario di critica letteraria e letterature comparate, esordisce come poeta nel 1978 su “Paragone” (con Jucci del 2014 vince il premio Viareggio), è saggista e traduttore. Al suo primo romanzo Più luce Padre, uscito per Sossella nel 2006, dobbiamo il nostro incontro. Ne seguiranno molti altri – ricordiamo Zamel (2009), Il Servo di Byron (2012), La casa di via Palestro (2014), Il Racconto dello sguardo acceso (2016), Due Pub tre poeti e un desiderio (2019) – in cui con sempre maggior forza emerge l’elemento dell’omosessualità, dell’impegno civile per i diritti, inscindibilmente legati al dato biografico e lirico che la sua scrittura conserva anche quando è in prosa.
Oggi vive tra la sua Gallarate e Roma, dove si è dovuto fermare all’esplosione della pandemia e dove lo abbiamo, virtualmente, raggiunto.
Tu vivi tra la tua Lombardia e Roma, dove sei stato sorpreso e bloccato dalle misure della quarantena. Nella tua esperienza e dai tuoi contatti che differenze ci sono state in questa emergenza tra le due regioni?
Sono rimasto bloccato a Roma dalla metà di febbraio, quindi ho avuto notizie dalla Lombardia solo tramite contatti telefonici e dai giornali. La situazione lì è ben più grave e drammatica, anche da un punto di vista psicologico. Chi non ha contratto il virus è davvero molto preoccupato, mentre qui a Roma l’atmosfera non è così plumbea. I numeri di contagiati e morti d’altronde confermano l’impressione.
Proprio su questa operazione quotidiana di ricerca di notizie relative alla Lombardia ho scritto questa breve poesia:
Mentre da Roma cercavo sul Corriere
Le notizie sul contagio a Gallarate,
L’occhio mi è caduto sul servizio
Con le foto da Marte. Trentaquattro istantanee
Inviate da Curiosity, il rover della Nasa
Che da otto anni vaga sul pianeta.
Il Sole da Marte in un tramonto blu,
Mount Sharp e il cratere di Gale,
I sedimenti d’un antico fiume
Rocce meteoriti e dune
E poi ad un tratto quel pallino chiaro
The Earth
La Terra vista dal cortile del vicino
Con le fidejussioni i rogiti i contratti
Le zone rosse ed arancioni
Le bare bianche senza estreme unzioni.
Vi ho fuso due sentimenti. Il primo è quello ansioso di chi cerca notizie specifiche su questa cittadina tra Milano e il Lago Maggiore. Il secondo riguarda l’enorme squarcio rappresentato dalle foto da Marte inviate dal Rover. L’effetto è straniante. La Terra appare come un pallino lontano, le nostre umane vicende diventano minuscole. In questa poesia si concretizza il tentativo di vedersi dall’esterno, molto dall’esterno.
Franco Buffoni, 72 anni, di Gallarate, è ordinario emerito di critica letteraria e letterature comparate.
Nel 1978 su “Paragone” esordisce come poeta affermandosi, soprattutto a partire dagli anni ’90, come uno dei più importanti poeti italiani a cavallo tra 900 e 2000 con numerose raccolte spesso premiatae. Con Jucci, del 2014, vince il premio Viareggio.
La sua attività spazia molto: saggista, raffinato anglista, è traduttore e teorico della traduzione, curatore di collane e riviste letterarie.
L’impegno da attivista per i diritti civili si lega, però soprattutto alla sua produzione in prosa e si accentua vieppiù a negli ultimi 15 anni.
Il suo primo romanzo, Più luce Padre, è del 2006. Ne seguiranno molti altri – ricordiamo Zamel (2009), Il Servo di Byron (2012), La casa di via Palestro (2014), Il Racconto dello sguardo acceso (2016), Due Pub tre poeti e un desiderio (2019) – in cui con sempre maggior forza emerge l’elemento dell’omosessualità, dell’impegno civile per i diritti, inscindibilmente legati al dato biografico e lirico che la sua scrittura conserva anche quando è in prosa. Oggi vive tra la sua Gallarate e Roma, dove si è dovuto fermare all’esplosione della pandemia.
Tornando più vicino, secondo te nella gestione dell’emergenza e delle sue conseguenze in Lombardia ci sono delle responsabilità politiche?
Credo proprio di sì. In questi due mesi è riemersa prepotentemente la mia avversione verso le autonomie regionali. Sono sempre stato contrario all’istituzione delle regioni e sono stato contrarissimo quando la responsabilità sulla sanità è stata loro attribuita. L’ho scritto anche in diversi libri negli ultimi vent’anni.
La situazione attuale ha mostrato i disastrosi effetti, anche dal punto di vista delle decisioni da prendere e delle loro conseguenze. L’Italia è nata come Paese centralistico, sul modello francese. Poi per compiacere la Lega di Bossi si è realizzata questa parodia di federalismo, è la Sanità è la punta dell’iceberg del suo fallimento.
Non voglio nemmeno parlare di dolo o di colpe personali gravi, che si potranno analizzare in futuro (l’ex presidente Formigoni condannato con sentenza definitiva proprio per corruzione legata alla sanità), ora è macroscopica la questione delle competenze: chi deve decidere e su che cosa e in quale momento. Una vera tragedia, soprattutto quando occorre rapidità. Per cui credo che in Lombardia negli ultimi mesi ci siano state sì delle negligenze, ma all’interno di un assetto istituzionale che non funziona e dovrà essere assolutamente rivisto.
Avvicinandoci ancora di più, sul piano personale, tu come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini e le tue relazioni?
Al di là delle preoccupazioni per amici e parenti, qui a Roma mi sento un privilegiato, perché, facendo lo scrittore, la mia vita non è cambiata molto. Lavoro sempre al computer fino alle tre, le quattro del pomeriggio e continuo a farlo. Sto scrivendo due libri contemporaneamente.
E’ poi nella seconda metà della giornata che mi manca quella passeggiata – la chiamavo la mia ora d’aria – qui sopra, a Villa Borghese. Mi lavo sempre al pomeriggio quando torno dalla passeggiata, mai al mattino per non interrompere il flusso creativo della coscienza. La scrittura mi viene più fluida se non mangio e non mi lavo, trascorrendo dal sonno alla scrittura. Dopo preparo la cena e magari la sera mi vedo un film. Mi manca solo lo spazio pomeridiano dell’uscita. Però di fronte a quello che sta succedendo e ai trentamila morti, sarei ridicolo se mi lamentassi.
Oltre alla fortuna di poter lavorare a casa e quindi di mantenere abbastanza intatta la tua routine, hai quella vivere in centro a Roma, nel cuore di una delle città più belle del mondo, a cui hai dedicato anche una raccolta di poesie qualche anno fa. Nelle tue brevi uscite per le piccole incombenze quotidiane, com’è Roma svuotata dai turisti e dallo shopping? Come ti appare la città in una veste così insolita?
Riprendo una tua affermazione: Roma è la città più bella del Mondo. Sono terribilmente felice di abitare al centro di Roma. Purtroppo in questi mesi non posso godermela come nei vent’anni precedenti. Uscire in via del Corso e vederla deserta, con il solo passaggio delle auto della polizia, è soffocante. Dà l’idea proprio dello Stato di Polizia. D’altro canto – abitando a duecento metri da Palazzo Chigi – è più che comprensibile.
Ma ci si adatta a tutto, per esempio ho fraternizzato con la farmacista Ilaria, tutti i giorni passo a salutarla, chiacchieriamo un po’, rigorosamente mascherinati. Chiacchiero anche un po’ in spagnolo col mio portinaio peruviano Gabino – che a Roma si chiama portiere – e in inglese con un pakistano che ha un negozietto di alimentari qui vicino, dove compero le cose essenziali. Si creano nuovi rapporti umani… Cerco di vivere – e, per quanto posso, di far vivere – con leggerezza la situazione.
Nella paziente convinzione che per me – anziano e con patologie pregresse – anche quando riprenderà un tran tran “normale”, non cambierà nulla. Anzi diventerà tutto più pericoloso: adesso quando esco trovo la strada deserta, ma quando ci sarà più gente in giro, il tasso di rischio per me aumenterà sensibilmente. Se si infetta un giovane, ha buone probabilità di guarire dopo una settimana di influenza; se capita a me, ci lascio le penne. So bene che, fino a quando non ci sarà il vaccino, dovrò continuare a condurre una vita da semi-recluso. Fortunatamente ho un sistema nervoso ben temprato: mi sto attrezzando mentalmente ad andare avanti così, almeno fino all’autunno.
A quali progetti di studio, di lavoro, di scrittura stai lavorando in questo periodo?
Sto lavorando a due libri completamente diversi. Il primo è un libro di poesia, da cui ho bandito completamente il sentimento. Cosa molto difficile per me che sono un poeta lirico. Il titolo provvisorio è “Poesie scientifiche”: cerco di collegare il concetto di “microbiologia” al concetto di “astrofisica”. Poi il sentimento salta fuori lo stesso: anche dalla poesia che ho appena letto credo che un poco si colga. Però ho voluto bandire ogni sentimentalismo.
Inoltre sto allestendo in volume una scelta di interviste avvenute tra 1990 e il 2020, suddivise cronologicamente per decennio e per argomento, in modo che emerga un discorso organico, rispettando i singoli intervistatori e le peculiarità delle loro testate, ma anche rendendo consequenziali le risposte.
Ma per maggio non era già stata annunciata l’uscita di “Silvia è un anagramma”?
Sì, era stata programmata in concomitanza con la stagione dei Pride e, si sperava, con l’approvazione alla Camera della legge contro l’omofobia. Ma l’editore Marcos y Marcos ha rimandato all’autunno, per il momento.
Perché quel titolo?
Il riferimento diretto è all’omosessualità di Leopardi, ma sono in gioco anche altri autori…
A proposito di poesia e scienza. Tu sei un letterato impegnato sul piano civile e in questo ruolo hai sempre sottolineato l’importanza del primato della Scienza e della ricerca per il progresso sociale e civile. Questo elemento oggi emerge con forza di fronte alla situazione sanitaria che stiamo vivendo. Quale può essere il rapporto ottimale tra scienza, politica e democrazia?
Questa situazione ci sta facendo sempre di più capire l’importanza delle competenze specifiche. Un elemento che nel decennio scorso è stato spesso vilipeso e irriso. Non vorrei adesso aprire una polemica politica, però, va da sé che c’è stato molto dilettantismo deteriore, nella convinzione che chiunque potesse svolgere qualunque ruolo.
Oggi ci si rende conto che non è così, e questo ci sta dando una severa lezione. Dobbiamo rifarci a persone competenti, che hanno studiato per decenni le materie, e però anche mettere a confronto le loro opinioni, che a volte sono divergenti, perché la scienza procede in modo empirico, non c’è mai una risposta definitiva e monolitica. Non esiste l’Ipse dixit in campo scientifico, esiste un continuo processo di ricerca, di verifica dei dati, di prova e controprova e poi la messa in discussione costante dei risultati raggiunti.
Forse finalmente gli italiani cominciano a imparare come funziona il metodo scientifico. E anche che esiste un mondo che non possono vedere, quello della microbiologia: l’infinitamente piccolo. Magari da contrapporre a quello dell’infinitamente grande: dell’astrofisica. Per gente abituata a Padre Pio nel portafoglio insieme al Gratta e Vinci, potrebbe essere un’occasione di maturazione.
Quindi dalla scienza desumiamo: niente Ipse dixit, ma autorevolezza delle competenze. Niente verità assolute ma confronto delle posizioni basate su dati di realtà e non su pregiudizi o prese di posizione ideologiche. Che tipo di rapporto c’è tra scienza, politica e democrazia?
La scienza può dare alla politica tutte le indicazioni che in quel momento appaiono grazie alle evidenze empiriche. Poi la politica deve considerare questo ammontare di conoscenze alla luce anche d’altri elementi: sociali, lavorativi, economici. E saper trarre la sintesi all’interno dei meccanismi di uno stato di diritto, che in primis deve sapere tenere indipendenti e sovrani esecutivo, legislativo e giudiziario. Non è facile. E in una situazione come la nostra, che non era florida neanche in precedenza, occorreranno autorevolezza e rigore e una classe poltica adeguata e all’altezza. Il conflitto Stato/Regioni di cui parlavo prima, per come è apparso nelle ultime settimane, si pone proprio sul piano opposto.
La nostra classe politica ti sembra adeguata e all’altezza?
Assolutamente no. Ma è un vecchio discorso che non appartiene solo agli ultimi anni. La classe politica non è adeguata culturalmente, e le radici di questa inadeguatezza risalgono a come venne impostata l’istruzione in Italia nel Novecento: su basi totalmente a-scientifiche. Non mi riferisco solo a Giovanni Gentile, completamente compromesso col fascismo, ma anche a Benedetto Croce, che era un liberale e divenne Ministro della Pubblica Istruzione negli anni ‘50.
Se guardiamo i programmi della Scuola Media da lui allestiti, scopriamo che a fronte di sei ore di latino settimanali non era prevista neanche un’ora di Scienze. Ciò facilitò la crescita d’una classe politica totalmente forgiata sulle ideologie. Siamo andati avanti così per decenni, con laureati in legge totalmente ignoranti del fatto scientifico e del metodo scientifico. Nella convinzione che il mondo umanistico dovesse avere l’assoluta prevalenza, e che il fatto scientifico fosse irrilevante e riguardasse solo la tecnica. In seguito le cose sono solo peggiorate, fino all’elogio dell’ignoranza al potere.
Parliamo di scuola. Con le classi di ogni ordine dall’infanzia all’università chiuse, e l’irrompere della didattica a distanza. Sorte per altro condivisa dalle tante lavoratrici e lavoratori in smart working. Come sta funzionando?
Persino durante la guerra le scuole funzionarono: semplicemente non si tennero gli esami di maturità: dal ‘41 al ‘45 si passò per scrutinio. L’anno prossimo gli insegnanti dovranno praticamente rifare il secondo quadrimestre di quest’anno. Gli unici a tirare davvero il fiato in questi mesi sono stati gli allievi soggetti ad atti bullismo.
Sulla didattica a distanza dividerei l’utenza in due ambiti: dalle elementari alle medie superiori c’è comunque bisogno del contatto diretto con l’insegnante. La relazione educativa è anche psicologica e non si può pensare di poter trasmettere solo dei contenuti. Per gli universitari invece, in particolare per la laurea specialistica e i dottorandi ciò è possibile. Per una lezione di filologia romanza o di patologia il docente può anche essere a schermo.
Lo stesso dicasi per lo smart working, che in Italia era poco praticato. Se ne scopre l’abbattimento dei costi e dei tempi di trasporto. Questi mesi di forzata presenza a schermo degli studenti adulti e dei lavoratori da scrivania, insomma, mi sembra che stiano cambiando inveterate abitudini. D’altro canto le emergenze sono sempre servite almeno a questo. Nei cinque anni della seconda guerra mondiale l’industria aeronautica fece progressi che in tempo di pace avrebbe compiuto in trent’anni.
Parliamo di comunità Lgbt+. Il virus e le misure introdotte di limitazione della mobilità e del contratto sociale hanno avuto un impatto devastante su spazi di aggregazione e associazioni, serate, locali, presentazioni, eventi. In definitiva, sulla vita di persone che compongono una minoranza…
Una minoranza che in Italia non ha ancora ottenuto i diritti fondamentali che le spettano. Dei famosi tre punti – matrimonio per tutti con step-adoption, procreazione assistita, legge contro l’omofobia – siamo riusciti ad ottenere soltanto una parte del primo punto. Questa situazione ci rende ancora più fragili. Non voglio pensare a ciò che accadrà se alle politiche del 2023 dovessero vincere queste destre paleozoiche che ci ritroviamo. Queste destre che paiono pascersi e godere soltanto della loro atavica e pregiudiziale ignoranza.
In questo quadro la situazione del Movimento Lgbt+ italiano è ben più precaria di quanto non sia in Francia, Spagna o Germania. Il fatto di non poter più incontrare le persone ha sclerotizzato le relazioni: è come se tutti fossimo rimasti incollati al muro nel momento della chiusura. Tutti indistintamente, ma le persone Lgbt+ ne risentono maggiormente: sono più fragili, essendo per definizione meno garantite, come s’è visto colla questione dei “congiunti”. Sappiamo bene l’importanza che i luoghi di aggregazione hanno per questo segmento di società!
Per questo mi auguro che le persone imparino a leggere dei libri e imparino a vedere dei film, anche se a casa da soli: libri e film che si possono procurare online. Affinché questa pausa serva anche a maturare.
Sul piano generale, invece, quali prospettive politiche, sociali e economiche abbiamo davanti?
Dipende molto da come reagirà l’Europa. Se l’Europa riuscirà davvero a fare un passo avanti nell’ottica dell’Unione monetaria ed economica, che poi alla fine significa anche condivisione del debito, la crisi non sarà stata inutile. Se prevarranno gli egoismi nazionalistici, lo scenario si farà pessimo.
Mi auguro che questa situazione possa permettere di intraprendere la via verso una responsabilità collettiva per quanto riguarda l’economia, la difesa (l’esercito europeo), la politica estera, eccetera. L’uscita dell’Inghilterra dovrebbe favorire questo processo. Se invece dovessero prevalere gli egoismi nordeuropei, per l’Italia saranno tempi davvero duri, ma il nostro disastro si rifletterà anche su di loro. Spero nel buon senso di tutti. Nessuno può avere davvero interesse a mandare a picco l’Italia – e di conseguenza la Spagna, la Grecia, il Portogallo, e persino la Francia.
Per concludere tornando alle questioni della battaglia per i diritti, ma più ampiamente per la liberazione sessuale e tutte le lotte femministe e della comunità Lgbtqi+, quali prospettive vedi? Quali i rischi, quale possibilità, quali sfide vedi all’orizzonte?
Abbiamo alcune scadenze importanti. In novembre ci sarà l’elezione del nuovo Presidente americano. Se dovesse essere eletto Biden, negli Stati Uniti cambieranno molte cose anche sul piano dei diritti Lgbt+. Verrà una politica alla Obama sul piano dei diritti civili e ci sarà una ricaduta positiva anche sull’Europa. Se dovesse essere confermato Trump, invece, tutto questo si risolverà in negativo.
I paesi europei che già posseggono una legislazione favorevole alle persone Lgbt+ probabilmente non regrediranno sul piano dei diritti, mentre un Paese come l’Italia, che è appena all’inizio del processo di acquisizione di diritti, potrebbe avere una battuta d’arresto. E prima ho detto le elezioni del 2023, perché non voglio nemmeno pensare che si possa andare ad elezioni anticipate, e che una maggioranza di destra possa eleggere il nuovo Presidente della Repubblica nel 2022. Se dovessero aprirsi questi scenari, il movimento Lgbt+ avrebbe ancor più a soffrire.