Minerba, impariamo a fare lobby e vinceremo
In passato abbiamo perso troppe occasioni – dice il fondatore dello storico festival Lgbtqi torinese – uniti, pur nelle nostre differenze, siamo imbattibili
Il coronavirus lo ha ferito ma non lo ha fermato. Per la prima volta nei suoi 35 anni di storia il Lovers Film Festival di Torino – il primo e più longevo festival Lgbtqi d’Europa – si è svolto in un’inedita edizione online, senza sala e senza pubblico dal vivo. Ma per una fortunata intuizione della sua nuova direttrice artistica Vladimir Luxuria ha mantenuto una programmazione online nei 4 giorni del suo calendario previsto che si chiude proprio oggi.
E allora proprio oggi col nostro progetto vogliamo dare spazio alle parole di Giovanni Minerba, che quel festival lo ha fondato, assieme al suo compagno Ottavio Mai nel 1986, e ha continuato a dirigerlo fino a pochi anni fa, conservando comunque un ruolo centrale ancora oggi in quello che grazie a lui è divetato uno degli appuntamenti culturali più importanti di Torino a livello internazionale.
Stai per lasciare Torino, dove 35 anni fa assieme al tuo compagno Ottavio Mai, hai dato vita al Torino GLBT Film Festival – Da Sodoma a Hollywood (Oggi Lovers Film Festival), per tornare a vivere nel tuo Salento. Come sarà questo ritorno?
Ovviamente è stata una decisione combattuta per tanti motivi. Già da qualche anno almeno 4/5 mesi li passo in Salento, dove con il mio compagno Damiano Andresano da circa quindici anni gestiamo una struttura ricettiva per l’estate. Negli ultimi anni tante cose sono cambiate per giustificare la mia presenza a Torino a partire dal mio “allontanamento” dal Festival.
Pensare di ritornare al Sud, la mia amata terra, è stato anche semplice, perché dovendo gestire la struttura Damiano era già residente in Salento, e quando, dopo 27 anni di convivenza, abbiamo deciso di fare l’Unione Civile, anche io ho dovuto fissare lì la mia residenza. Ma a parte questo il nostro rapporto con la comunità salentina è sempre stato eccellente, e anche il mio essere “conosciuto” è stato determinante. Come saprai, la nostra Unione è stato un evento pubblico, celebrato nel piccolo anfiteatro del mio paese natale (Aradeo) con migliaia di partecipanti. Questo ha consacrato la bellezza della nostra convivenza con la comunità.
Poi noi abbiamo un costruttivo e creativo rapporto con la realtà Lgbtqi salentina e questo sarà molto stimolante per la nuova vita di un “diversamente vecchietto” come me.
Ma Torino sarà comunque sempre la mia città. Ci sono “cresciuto” e ci ho vissuto 47 anni, mi ha dato tanto e la ringrazierò sempre. Ma soprattutto a Torino c’è Ottavio e una via dedicata a lui.
Giovanni Minerba, nato ad Aradeo (Lecce) nel 1951, vive a Torino dal 1972. È lì che nel 1977 incontra il suo compagno Ottavio Mai col quale dà avvio a un inossidabile legame artistico e sentimentale. Assieme autoproducono e girano diversi film, premiati in vari festivale e nel 1986 fodano
il Torino International GLBT Film Festival “Da Sodoma a Hollywood”.
Dopo la morte di Ottavio, Giovanni continua a girare film e a dirigere il “suo” festival initerrottamente fino al 2017 quando lascia il testimone.
Nel luglio 2019, con un evento pubblico di grande risonanza, si unisce civilmente con il compagno Damiano Andreasano nell’anfiteatro della sua Ardeo.
Oggi, dopo 48 anni di vita a Torino, Giovanni si appresta a rientrare definitivamente nel Salento dove col compagno gestisce un suggestivo Bed & Breakfast nel centro di Galatone (Lecce).
Parlando del Lovers Film Festival per la prima volta da quando è nato, a causa dell’emergenza coronavirus non si è potuto svolgere regolarmente con il pubblico e gli spettacoli dal vivo, ma si è scelto comunque di non fermarlo dando vita a un’inedita versione online dal 30 aprile al 4 maggio. Come vivi questa forzata distanza fisica col pubblico? Com’è nata l’idea e di cosa si tratta?
Come per tutti gli eventi che si sono trovati a dover affrontare questa situazione non è stato semplice. Saprai che da quest’anno a dirigere il festival c’è l’amica Vladimir Luxuria. Quando si è appurato che il festival non sarebbe stato possibile organizzarlo come è sempre stato, piuttosto che annullarlo, o quantomeno rimandarlo e basta, in attesa di capire cosa sarebbe successo, Vlady ha suggerito questo evento: nei giorni in cui doveva svolgersi, una rassegna online con film di autori italiani che erano stati programmati al festival nelle edizioni precedenti. Una scelta che mi è subito piaciuta anche perché io ho sempre voluto sostenere il cinema Lgbtqi di giovani e non autori italiani.
Certo che per me, ma non solo per me credo, tutto questo è molto strano. Incredibile. Sono certo che non sarò il solo a pensare con nostalgia a quello che si viveva durante il festival, le code dei sempre affezionati spettatori davanti al cinema, gli amici che arrivavano da fuori e che rivedevi dall’anno prima… Mamma mia che tristezza…
Allo scoppiare dell’emergenza sei stato fermato proprio a Torino e non sei potuto rientrare nella tua nuova casa salentina. Cosa è successo? Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?
Ero a Torino perché si prevedeva una mia collaborazione con Vlady per il festival, stavo comunque organizzandomi un viaggio in Salento per dopo il 7 marzo, che era il giorno dell’Unione di due cari amici. Dopo la festa Damiano è andato in Spagna, l’8 è scoppiata l’emergenza. Damiano è poi riuscito a tornare in Salento mentre io sono bloccato a Torino da sessanta giorni.
Quindi, come lo sto vivendo? Innanzitutto, lasciamelo dire, a forza di stare seduto il mio bel culo si sta appiattendo. Se sarà possibile chiederò un bonus per la riabilitazione… Per il resto credo di viverlo come buona parte delle persone di buon senso: chiuso in casa appunto con le uscite per la spesa e il giro dell’isolato un paio di volte al giorno.
Il “lavoro” non c’è, ma cerco di scrivere qualcosa che potrebbe trasformarsi in lavoro.
Le abitudini, quindi cinema, teatro, lunghe passeggiate serali mi mancano, mi mancano molto!
Le relazioni, a parte lontananza con Damiano, a cui sono anche abituato, mi mancano le cene con gli amici (non molti), che non sono soltanto il mangiare, ma soprattutto parlare, abbracciarci…
Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione Lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?
Credo che quest’evento sarà, dovrà essere, l’occasione per provare a spostare lo sguardo su quanto si è smarrito. Secondo me negli ultimi anni ci sono state occasioni che ci potevano dare la possibilità di pretendere e ottenere di più. Non abbiamo intercettato e utilizzato bene queste potenzialità. Si è fatto tanto ma non quanto era possibile e sicuramente questo è successo perché non si è avuta la scaltrezza di essere UNA “lobby”. Sia chiaro non piacciono la scaltrezza e le lobby, ma sono spesso utilizzate, erroneamente. Questo, secondo me, per decenni è stato il principale errore del movimento Lgbtqi italiano. Democraticamente può essere anche giusto, ma poco funzionale. Nella realtà torinese che conosco direttamente invece posso dire che il tentativo di coalizzare i vari gruppi ha funzionato abbastanza con il Coordinamento Torino Pride, che è diventato UNA, se pur piccola, lobby.
Credo quindi che alla ripartenza si dovrebbe incominciare a pensare ad una sorta di banale “Tutti per uno, uno per tutti”. Ognuno con le sue peculiarità, ma non ognuno con lo sguardo verso il proprio ombelico.
Per chi come te ha dedicato tutta la vita alla promozione dell’arte e della cultura, di cosa avrebbe bisogno oggi questo mondo fragile e così duramente colpito per evitare il disastro?
Ovviamente ho ascoltato e letto di tutto in questi lunghi e devastanti giorni, credo che la “proposta” più stupida sia stata quella di riesumare il “Drive-in”… Allora, mi ripeterò, ma anche su questo penso sia necessario rivedere molte cose, non credo alle soluzioni alternative estemporanee, palliativi. Nell’arte non è più possibile continuare a considerare solo l’Artista. Finalmente dobbiamo tenere in considerazione l’intero processo: quello che c’è prima, durante e dopo che “l’Artista” salga sul palco o vada sullo schermo.
E mi ritorna “l’ombelico”. Oppure, pur essendo di carattere positivo, ribadisco il pensiero di una cara amica, Elena Sofia Ricci, che ad una domanda sul dopo Covid ha risposto: “Ho paura della resistenza dell’essere umano ad evolversi“
Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?
Credo non si possa ancora immaginare, in questo momento si deve solo stare all’erta, essere pronti a nuove sfide, con più e diverse determinazioni, facendo in modo di cogliere le possibilità che si presenteranno. Noi comunità Lgbtqi, potremmo trovarci a dover affrontare pesantemente il futuro. Voglio immaginare di poterlo affrontare quasi ad armi pari, con una politica possibilmente onesta di fronte alle emergenze sociali ed economiche che si presenteranno, anzi sono già in atto. Se vogliamo questa drammatica situazione potrebbe prestarsi a farci essere “più forti che pria”.
Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?
Anche su questo, come dicevo prima, è difficile immaginare prospettive precise. Viviamo in un’epoca “virtuale” e in era coronavirus, siamo tutti immersi in questo mondo. Per questo anche in Italia si sta lavorando ad un progetto alternativo che ci vedrà svolgere decine di Pride in modalità virtuale con tutto il mondo. Potrebbe servire anche per fare un punto della situazione sui diritti Lgbtqi negli altri Paesi perché i diritti, non possono andare in quarantena. E’ necessario esserci, anche virtualmente, e sicuramente leggeremo di un grande successo. Da lì bisogna ripartire, pensando alle nuove e future generazioni.